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Terapia ormonale e rischio di trombosi

Terapia ormonale e rischio di trombosi

La coagulazione è un processo fisiologico normale ed essenziale per il nostro organismo perché consente di fermare l’emorragia o curare le ferite. Il processo di coagulazione però non è uguale per tutti: ognuno di noi coagula secondo i codici ereditati dai propri genitori; alcuni ereditano un sangue che coagula “troppo”, altri un sangue che coagula meno del dovuto. Ma alcuni fattori, come il sovrappeso, il fumo, il diabete, il colesterolo alto, terapie ormonali e la gravidanza, possono interferire con questo processo, confondendo il sangue e facendolo coagulare in modo improprio. Altre situazioni che aumentano il rischio di trombosi sono gli interventi chirurgici, l’allettamento prolungato per una malattia infiammatoria grave soprattutto se febbrile, le fratture degli arti e addirittura un lungo volo aereo in posizione scomoda. Il rischio aumenta in funzione di quanti fattori predisponenti sono presenti: maggiore è il numero dei fattori concomitanti, maggiore è il rischio. I trombi si possono formare ovunque, nelle vene delle gambe, delle braccia, del cervello, delle ovaie o dell’intestino. Un trombo può sciogliersi spontaneamente, ma può anche estendersi all’interno della vena risalendo verso il cuore, può frammentarsi e liberare nel sangue emboli.
Il timore di potere incorrere in una trombosi a seguito dell’assunzione della pillola è comune a tutte le donne che ne fanno uso. Tutte le pillole anticoncezionali, così come tutte le terapie a base di ormoni (ad esempio la terapia sostitutiva della menopausa o HRT o TOS), possono aumentare la tendenza del sangue a coagulare e quindi la probabilità che si formi un trombo, ma non per tutti i farmaci il rischio è il medesimo infatti, e gli studi lo dimostrano, di grande rilevanza è il tipo di principio attivo del progestinico. Ai contraccettivi a base di levonogestrel, norgestimato e noretisterone sono infatti associati i più bassi pericoli (in questo gruppo farmacologico si sono registrati tra i 5 e i 7 episodi di TEV ogni 10 mila donne) mentre le percentuali aumentano in caso di progestinici con etonogestrel e norgestromina (dai 6 ai 12 casi) con picchi più alti fra le pillole contenenti gestodene, desogestrel e drospirenone (dai 9 ai 12 eventi). Per i restanti contraccettivi oggi in commercio (clormadinone, dienogest e nomegestrolo) i dati disponibili in letteratura non sono sufficienti per esprimere un eventuale rischio effettivo o possibile.
Dunque, le evidenze scientifiche emerse sul rischio contenuto di sviluppare una trombosi da contraccettivo non indicano la necessità di sospensione in donne che ne fanno uso e che non hanno particolari problemi di salute. Resta tuttavia inteso che anche in buone condizioni di salute, la donna deve discutere con il proprio ginecologo la tipologia di pillola più opportuna al proprio profilo individuale. Anche in assenza di condizioni predisponenti/favorenti in caso di assunzione abituale della pillola, è bene fare attenzione ad alcuni campanelli di allarme, precursori della Trombosi venosa: forti dolori e/o gonfiore alle gambe, un improvviso o immotivato affanno, respirazione accelerata o comparsa di tosse, dolori al petto e una debolezza localizzata alle gambe, alle braccia o al volto. Alla manifestazione di queste sintomatologie è importante rivolgersi subito al proprio medico per una ridefinizione della tipologia, dosaggio e/o sospensione della pillola. Inutile dire che prima di iniziare una terapia estroprogestinica è indispensabile una valutazione clinica ed umorale per escludere la presenza di fattori che ne sconsiglino l’assunzione a priori; oggi è possibile escludere una predisposizione genetica ad una anomala coagulazione del sangue con test assolutamente indolori (screening trombofilia su tampone buccale).

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