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Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53

La legge

Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53

Visto l’articolo 87 della Costituzione;

Visto l’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53, recante delega al Governo per l’emanazione di un decreto legislativo contenente il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità, nel quale devono essere riunite e coordinate tra loro le disposizioni vigenti in materia, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo;

Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400;

Vista la deliberazione preliminare del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 15 dicembre 2000;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del 15 gennaio 2001;

Acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari;

Vista la deliberazione definitiva del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 21 marzo 2001;

Sulla proposta del Ministro per la solidarietà sociale, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della sanità, per le pari opportunità e per la funzione pubblica;

Vai al testo completo della legge

il congedo di maternità

IL CONGEDO DI MATERNITA’

Il congedo di maternità è il periodo nel quale la lavoratrice dipendente ha l’obbligo di astenersi dal lavoro.

Prima del marzo 2000, l’astensione pre e post partum doveva essere fruita in 5 mesi con inizio 2 mesi prima del parto e la fine 3 mesi dopo. Dal marzo del 2000 è possibile scegliere tra 2 opzioni:

Scelta 1 2 mesi prima del parto3 mesi dopo il partoScelta 2 1 mese prima del parto4 mesi dopo il parto

N.B. La flessibilità dell’astensione obbligatoria può andare da un minimo di un giorno ad un massimo di un mese.

E’ VIETATO ADIBIRE AL LAVORO LE DONNE:

*durante i due mesi precedenti la data presunta del parto ed i tre seguenti il parto, salvo quanto previsto dal T.U. in relazione alla flessibilità
*qualora il parto avvenga oltre la data presunta, per il periodo intercorrente tra la data presunta ed il parto stesso
*durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto qualora il parto avvenga anticipatamente rispetto alla data presunta, tali giorni sono  aggiunti al congedo di maternità dopo il parto

Adempimenti: La lavoratrice, prima dell’inizio del congedo di maternità, ed in ogni caso entro il 7° mese di gestazione, deve presentare al datore di lavoro e all’INPS, apposita domanda corredata dal certificato medico attestante il mese di gestazione e la data presunta del parto. A seguito del parto ed entro trenta giorni dallo stesso, per usufruire dei diritti previsti, la lavoratrice deve altresì inviare al datore di lavoro e all’INPS  il certificato di nascita del bambino/a ovvero la dichiarazione sostitutiva ai sensi dell’art. 46 del Dpr 445/2000 (autocertificazione). Con lettera a parte si deve segnalare la nascita all’Ufficio del Personale per usufruire delle detrazioni fiscali per i figli a carico e richiedere l’erogazione degli assegni familiari,  se spettano.

Congedo per maternità per lavoratrici sospese o disoccupate

Secondo il  TU l‘indennità di maternità è corrisposta anche nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro previsti dal contratto a termine o di cessazione dell’attività dell’azienda cui la lavoratrice è addetta, che si verifichino durante i periodi di congedo di maternità sia «normale» che «anticipato». In base alla sentenza della Corte Costituzionale n. 405/2001 il diritto all’indennità di maternità viene riconosciuto anche nei casi di licenziamento per giusta causa, a seguito di colpa grave della lavoratrice, che si verifichino durante i periodi di congedo per maternità sia «normale» che «anticipato». Alle lavoratrici gestanti, che all’inizio del congedo per maternità risultano sospese o assenti dal lavoro senza retribuzione ovvero disoccupate, spetta il normale trattamento economico di maternità. Ai fini del computo dei predetti 60 giorni, non si tiene conto: delle assenze dovute a malattia o a infortunio sul lavoro, accertate e riconosciute dagli enti competenti;  dei periodi di congedo parentale e di congedo per malattia del bambino dei quali la lavoratrice gestante abbia fruito in seguito a una precedente maternità; del periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale; del periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento.  Qualora il congedo di maternità abbia inizio dopo che siano trascorsi 60 giorni dalla data di risoluzione del rapporto di lavoro, il diritto all’indennità di maternità è riconosciuto a condizione che la lavoratrice risulti, alla data di inizio del congedo di maternità, in godimento del trattamento di disoccupazione. Ovviamente il trattamento di disoccupazione viene sostituito dall’indennità di maternità. La norma in un primo tempo applicata soltanto in caso di disoccupazione ordinaria, è stata estesa successivamente estesa dall’INPS anche  ai casi  di’indennità di disoccupazione con requisiti (v. INPS circ. n. 4/2006). Le stesse regole valgono anche nel caso di fruizione dell’indennità di mobilità; anche il questo caso la lavoratrice ha diritto all’indennità di maternità in luogo di tale trattamento. La lavoratrice che si trova disoccupata da oltre 60 giorni alla data di inizio del congedo di maternità, ma non è in godimento dell’indennità di disoccupazione perché nell’ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi non soggette all’obbligo dell’assicurazione contro la disoccupazione, ha diritto all’indennità giornaliera di maternità, purché al momento dell’inizio del congedo di maternità non siano trascorsi più di 180 giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e, nell’ultimo biennio che precede il suddetto periodo, risultino versati o dovuti a suo favore almeno 26 contributi settimanali nell’assicurazione obbligatoria per l’indennità di maternità.  La lavoratrice sospesa dal lavoro da oltre 60 giorni alla data di inizio del congedo di maternità ha diritto all’indennità giornaliera di maternità, purché alla data di inizio del congedo di maternità stesso risulti in godimento del trattamento ordinario o straordinario di integrazione salariale. Ovviamente il trattamento di integrazione salariale viene sostituito dall’indennità di maternità.

Adempimenti: La lavoratrice che non ha un rapporto di lavoro dipendente privato in essere al momento di inizio dell’astensione obbligatoria deve presentare la domanda per ottenere l’indennità di maternità direttamente all’ente previdenziale (INPS) precisando che intende chiedere il pagamento diretto della prestazione, non avendo possibilità di anticipazione da parte del datore di lavoro. La lavoratrice che ha cessato il rapporto da una pubblica amministrazione deve presentare domanda all’ultimo datore di lavoro pubblico.

Congedo per maternità per libere professioniste 

Indennità di maternità, le libere professioniste iscritte ad una delle varie casse previdenziali (del notariato, degli avvocati e dei procuratori legali, dei farmacisti, dei veterinari, dei medici, dei geometri, dei dottori commercialisti, degli ingegneri e architetti, dei ragionieri, dei consulenti del lavoro, nonché le varie casse nate dopo la legge n. 335/95 al decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001) hanno acquisito, in virtù di quanto disposto dalla legge 11 dicembre 1990, n. 379, il diritto all’indennità di maternità per il periodo corrispondente ai due mesi precedenti il parto e ai tre mesi successivi. Il TU si occupa delle libere professioniste trasponendo, con mere modifiche formali, quanto contenuto nella legge n. 379/1990. Il Capo XII del TU, infatti, è interamente dedicato a queste lavoratrici: con quattro articoli, 70, 71, 72 e 73, viene delineato il quadro dei diritti e degli adempimenti per ottenerli. La misura dell’indennità è pari all’80% di 5/12 del reddito percepito e denunciato dalla professionista nel secondo anno precedente quello del parto. L’importo mensile del trattamento in ogni caso non può essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione calcolata nella misura pari all’80 del salario minimo giornaliero degli impiegati del commercio. A tale proposito vanno però segnalate due modifiche all’articolo 70 del suddetto TU, per effetto della legge n. 289 del 15 ottobre 2003. La prima riguarda il concetto di reddito cui fare riferimento, essendo ora circoscritto al «solo reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali come reddito di lavoro autonomo» (escludendo quindi redditi diversi), e il periodo in cui tale reddito viene rilevato: si tratta del secondo anno precedente l’evento e non più la domanda. La seconda modifica riguarda l’importo dell’indennità che non può essere superiore a 5 volte l’importo minimo già fissato dalla legge stessa. In caso di aborto spetta l’indennità nella misura di una mensilità se l’aborto avviene tra il 3° e il 6° mese, e in misura intera, per 5 mesi, se l’interruzione della gravidanza avviene dopo il 6° mese. In caso di adozione o affidamento spetta l’indennità per tre mesi a decorrere dalla data di ingresso del bambino in famiglia a condizione che lo stesso non abbia superato i 6 anni di età. Tale limite di età, tuttavia è stato dichiarato illegittimo dalla sentenza n. 371/2003 della Corte Costituzionale, per cui anche in caso di adozione internazionale l’indennità compete anche oltre il limite di sei anni, purché entro la maggiore età.

Adempimenti: La prestazione è erogata dalla cassa di appartenenza dietro presentazione di domanda che può essere inoltrata già dal 6° mese di gravidanza e non oltre il termine perentorio di 180 giorni dalla nascita del bambino. La domanda, in carta libera, deve essere corredata dal certificato medico comprovante la data di inizio della gravidanza e quella presunta del parto nonché dalla dichiarazione, ai sensi del d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445, attestante l’inesistenza del diritto all’indennità come lavoratrice dipendente o lavoratrice autonoma.  In caso di adozione la domanda deve essere presentata alla competente cassa di assistenza e previdenza della lavoratrice entro il termine perentorio di 180 giorni dalla data di ingresso del bambino nella famiglia e corredata da dichiarazioni attestanti, ai sensi del d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445, l’inesistenza del diritto all’indennità di maternità a qualsiasi altro titolo. Va corredata, inoltre, da copia autentica del provvedimento di adozione o affidamento. Anche per queste casse la finanziaria dell’anno 2000, legge 23 dicembre n. 488, ha previsto una riduzione degli oneri contributivi a partire dal 1° luglio, ma la misura delle nuove contribuzioni dovrà essere stabilita da provvedimenti dei consigli di amministrazione delle singole casse. La categoria delle libere professioniste non è poi stata minimamente coinvolta dalle novità introdotte dalla legge in materia di congedi, poiché si tratta di norme destinate ai rapporti di lavoro dipendente e, in via eccezionale, seppure limitatamente ad un breve periodo di congedo parentale, alle lavoratrici autonome di cui alla legge n. 546/87. Oggettivamente non si comprende tale esclusione, viste le sostanziali equivalenze fra le due categorie di soggetti. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 3 del 26-29 gennaio 1998, aveva già sancito il diritto delle libere professioniste di ottenere l’erogazione dell’indennità di maternità, per i due mesi precedenti la data presunta del parto e per i tre mesi successivi, senza imporre come condizione l’effettiva astensione dal lavoro.  Alla Corte si era appellata la Cassa dei notai, che chiedeva l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge n. 397/90 nella parte in cui consente l’erogazione dell’indennità senza imporre alla lavoratrice l’astensione dal lavoro. Il ricorso dell’appellante era basato sul criterio secondo il quale, nell’interesse della salute del bambino e della puerpera, era necessario applicare anche alle professioniste iscritte alla cassa l’interdizione dal lavoro durante il periodo di percezione dell’indennità di maternità, così come imposto alla generalità delle lavoratrici. La Corte non ha ritenuto fondata la questione di legittimità affermando che: «la norma impugnata, pur interpretata nel senso che al giudice rimettente appare viziato di incostituzionalità, non determinando oggettivi ostacoli allo svolgimento del ruolo materno, non urta con il precetto dell’articolo 32 della Costituzione. La tutela costituzionale del diritto alla salute della donna e del bambino, infatti, non è vulnerata dalla esistenza di una norma che per una particolare categoria di lavoratrici stabilisce una protezione complessivamente adeguata alle peculiari caratteristiche della categoria medesima».

Il congedo di maternità: parto prematuro e decesso del bambino

Il congedo di maternità è valido anche nei casi di parto prematuro e decesso del bambino

Parto prematuro – Si definisce parto prematuro quello che avviene oltre il 180° giorno dall’inizio della gestazione.  In questo caso la lavoratrice non perde il periodo di astensione obbligatoria non goduto per intero prima del parto. Tale periodo si aggiunge ai tre mesi spettanti dopo la nascita del bambino/a, comunque per un massimo di cinque mesi. La lavoratrice è tenuta a presentare entro trenta giorni il certificato attestante la data del parto.  Il periodo non usufruito non può comunque essere aggiunto nei casi di proroga fino al settimo mese dell’astensione post partum prevista per le lavoratrici adibite a lavori insalubri o pericolosi.

Decesso del bambino – Nel caso di morte del bambino/a durante il parto o nei tre mesi successivi, la lavoratrice non può essere licenziata fino al termine del periodo di congedo di maternità e continua a godere della relativa indennità

Malattia durante il congedo di maternità – L’insorgere di una malattia durante il periodo di congedo per maternità post partum non interrompe il congedo stesso.

FLESSIBILITA’ DEL CONGEDO DI MATERNITA’

Lasciando inalterata la durata del congedo di maternità per un periodo di cinque mesi, l’art. 20 del T.U. prevede per le lavoratrici la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto. Per poterne fruire è necessario che un ginecologo del SSN ed il medico competente per la prevenzione e la salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. La flessibilità dell’astensione obbligatoria può andare da un minimo di un giorno ad un massimo di un mese. Il periodo di flessibilità, anche quando è già stato accordato, può essere successivamente ridotto (ampliando quindi il periodo di astensione ante partum inizialmente richiesto), espressamente, su richiesta della lavoratrice, o implicitamente, per fatti intervenuti. La malattia che intervenga durante l’ottavo mese di gravidanza è da considerarsi congedo per maternità in quanto la malattia stessa rappresenta impedimento alla flessibilità del congedo di maternità (circolare Min. Lav. e Prev. Soc. n° 43/2000.  La domanda di flessibilità va comunqee presentata entro il settimo mese di gestazione al datore di lavoro e all’INPS. Tale domanda deve essere corredata da: 1. il normale modello per la richiesta di congedo di maternità; 2. dichiarazione del medico competente che attesti l’assenza di situazioni di rischio. Per i settori in cui non vi è l’obbligo di presenza del medico competente, dichiarazione dell’azienda della non obbligatorietà della presenza del “medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro”;  3. certificato del ginecologo del SSN o convenzionato in cui, nell’ipotesi dell’assenza del medico competente di cui al punto 2, lo specialista deve anche esprimere, sulla base delle informazioni fornite dalla lavoratrice sull’attività svolta, una valutazione circa la compatibilità delle mansioni e delle relative modalità di svolgimento ai fini della tutela della salute della gestante e del nascituro.

IL CONGEDO DI MATERNITA’ ANTICIPATO

L’art. 17 del T.U. prevede che il congedo di maternità possa essere anticipato, su richiesta della lavoratrice e a seguito disposizione della Direzione Provinciale del Lavoro, sulla base di accertamento medico quando sussistano le seguenti circostanze:

1. nel caso di gravi complicanze della gestazione o preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza (maternità anticipata per gravidanza a rischio)

2. quando le condizioni ambientali o di lavoro siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino/a

3. quando la lavoratrice addetta a lavorazioni pesanti, pericolose o insalubri non possa essere spostata ad altre mansioni

Dal 1° aprile 2012 l’autorizzazione all’astensione anticipata dal lavoro per maternità è suddivisa tra Asl e Direzione territoriale del Lavoro.  Il ginecologo curante, qualora rilevi uno stato di patologia della gravidanza che possa richiedere un’astensione anticipata dall’attività lavorativa dovrà per tanto inviare la paziente presso l’ASL di competenza per valutazione.  L’ASL avrà competenza SOLO nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza. Rimane invece invariata, e sempre attribuita alla competenza delle Direzioni Territoriali del Lavoro, l’istruttoria e l’emanazione del provvedimento di interdizione “quando le condizioni di lavoro o ambientali sono ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino” e “quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni”.

Posticipazione del congedo di maternità. Qualora la lavoratrice sia addetta a lavori insalubri e non possa essere adibita ad altre mansioni, è concessa una proroga dell’astensione obbligatoria fino a 7 mesi dopo il parto.

Dichiarazione di nascita, riconoscimento e iscrizione all’ASL

La dichiarazione di nascita

Quando avviene una nascita è obbligatorio entro 10 giorni fare la dichiarazione di nascita per l’iscrizione del nuovo nato nel registro comunale dello stato civile in cui viene identificato con il nome, cognome, data e ora di nascita e comune di nascita. In altri termini la registrazione del bambino al’anagrafe informa lo Stato italiano della presenza di un nuovo cittadino che da quel momento gode di tutti i diritti del cittadino italiano minorenne.

La Dichiarazione di nascita deve essere fatta portando l’Attestazione di nascita ad uno dei seguenti uffici:

  • presso la Direzione Sanitaria dell’Ospedale in cui è avvenuto il parto entro 3 giorni dalla nascita
  • presso l’Anagrafe del Comune dove è avvenuta la nascita entro 10 giorni dalla nascita

L’Attestazione di nascita è rilasciata esclusivamente dal personale sanitario che ha assistito al parto e indica sul documento di attestazione: cognome e nome della madre, sesso del neonato, orario e luogo del parto. Nell’attestazione di nascita non viene indicato né il nome né cognome del neonato. In generale, l’Attestazione di nascita viene trasmessa direttamente dal reparto alla Direzione Sanitaria dell’Ospedale per l’iscrizione in ospedale, mentre per la registrazione presso l’Ufficio Anagrafe del Comune, l’Attestazione viene consegnata ai genitori al momento della dimissione.

Il riconoscimento

Il riconoscimento è la dichiarazione di uno o di entrambi i genitori che il bambino è il proprio figlio con la conseguente assunzione del legame giuridico di filiazione, cioè il padre, la madre o entrambi si presentano come genitori assumendosi di fronte allo Stato i doveri che ciò comporta rispetto al figlio. Il riconoscimento può avvenire contestualmente alla dichiarazione di nascita, ed in genere è così per le coppie sposate, oppure in tempi diversi (prericonoscimento in corso di gravidanza o successivamente per genitori di meno di 16 anni, o per situazioni di riconoscimento disgiunto da parte dei genitori).

Il bambino può essere riconosciuto da entrambi i genitori, oppure dalla sola madre o dal solo padre. Situazioni possibili:

  1. Coppia sposata: è sufficiente la presenza di un genitore, munito di un documento d’identità di entrambi i genitori.
  2. Coppia di fatto: è necessaria la presenza di entrambi i genitori, muniti di un documento d’identità di entrambi i genitori. E’ inoltre possibile avvalersi del prericonoscimento da effettuare durante la gravidanza presso il Comune di residenza. Con il prericonoscimento è possibile sveltire le pratiche di riconoscimento dopo la nascita: quando il bambino sarà nato potrà essere denunciato da un solo genitore presentando i documenti preparati in anticipo con la procedura delle coppie sposate.
  3. Madre sola: è necessaria la presenza della madre con il documento d’identità. Anche la madre sola può avvalersi del diritto di prericonoscimento.

⇒  Se il genitore che riconosce o entrambi i genitori hanno meno di 16 anni deve intervenire un tutore.

  1. Madre con età inferiore a sedici anni e padre che ha compiuto i sedici anni d’età: se il padre intende riconoscere il bambino, il neonato può essere riconosciuto inizialmente solo dal papà e successivamente anche dalla madre al compimento dei sedici anni.
  2. Madre e Padre con età inferiore a 16 anni:  sino al compimento del sedicesimo anno di età il riconoscimento non può essere effettuato direttamente dai genitori; occorre in questo caso richiedere l’assistenza del servizio sociale per l’avvio delle procedure necessarie all’affidamento temporaneo del neonato così come definito dalla legge. La legge prevede infatti che la procedura di adottabilità del bambino possa essere mantenuta in sospeso se la madre rimane vicina al bimbo e continua ad assisterlo (eventualmente con l’aiuto de parenti, in particolare dei genitori).  Il Tribunale per i Minorenni, su richiesta della madre o decidendo per conto proprio (“d’ufficio”, dice la legge), può rinviare la procedura di adottabilità fino al compimento del suo sedicesimo anno. Nel frattempo il bambino resterà affidato ai genitori della madre o, se fosse necessario, ad altri; occorre sempre, però, che la madre lo assista e mantenga dei rapporti con lui. Il cognome del bambino resta, in questo periodo, quello che gli ha dato lo Stato Civile. Quando la madre avrà compiuto sedici anni, potrà riconoscerlo immediatamente o chiedere al Tribunale di tenere ancora sospesa la decisione (per non più di due mesi).
  3. Per le donne che intendono avvalersi del diritto di non riconoscere il neonato la legge italiana permette alla donna di scegliere se riconoscere o no il proprio nato e di farlo liberamente.  Se la donna non lo riconosce nei dieci giorni dalla nascita e se non c’è riconoscimento nemmeno da parte del padre, nel Tribunale per i minorenni competente per il luogo di nascita verrà aperta una pratica di adottabilità del bambino, che avrà un cognome inventato (che gli viene dato, così come il nome, dallo Stato Civile del Comune) ed in breve tempo (massimo due mesi) il bambino verrà affidato ad una coppia già giudicata idonea all’adozione e sarà dichiarato adottabile. Dopo un anno di affidamento preadottivo e se tutto è andato bene verrà adottato da questa coppia, diventandone figlio. La legge garantisce alla donna la riservatezza sulla sua identità (nome, cognome e indirizzo saranno tenuti segreti) e le ragioni del non riconoscimento saranno conosciute solo dagli operatori e dai magistrati per i minorenni.  Se la donna non ha ancora deciso se riconoscere o no, può chiedere al tribunale per i minorenni, per mezzo degli operatori che la seguono senza mettere la sua firma e far sapere come si chiama, di poter avere ancora un po’ di tempo per la decisione definitiva. Il Tribunale, se accoglie questa richiesta, può fissare un periodo non superiore, comunque, a due mesi perché la donna possa decidere senza che il bambino venga, nel frattempo, dichiarato adottabile. Non basta, però, fare solo la richiesta, occorre anche che la donna mantenga dei rapporti con il bambino: deve andarlo a trovare (nella sistemazione che è stata trovata per lui), senza che occorra per questo alcuna particolare autorizzazione, e gli deve stare vicino (la legge dice “assistere”). Possono intervenire, se ci sono e vogliono farlo, anche altri parenti del bambino, autorizzati dal Tribunale.  Trascorso il periodo fissato, il Tribunale deciderà se dichiarare adottabile il bambino (in questo caso la donna non potrà più avere alcun rapporto con lui).  Se, invece, il Tribunale giudica che la donna non ha abbandonato il bambino e se n’è occupata bene nel periodo di sospensione della procedura, può fare una scelta diversa: in particolare l’affidamento del bambino alla donna o ad un altro parente o anche, temporaneamente, ad un’altra famiglia ma, comunque, non per essere adottato.
  4. Madre/genitori stranieri extracomunitari regolarmente residenti: è possibile riconoscere il neonato con le stesse procedure descritte nei punti precedenti (dall’1 al 5). Una volta effettuato il riconoscimento è necessario recarsi alla propria ambasciata per effettuare l’iscrizione del neonato presentando i seguenti documenti:
  • denuncia di nascita rilasciata dall’anagrafe
  • passaporto
  • permesso di soggiorno
  1. Madre/genitori stranieri extracomunitari non regolarmente residenti: è possibile riconoscere il neonato con le stesse procedure descritte nei punti precedenti (dall’1 al 5) presentandosi all’ufficio con 2 testimoni e con il passaporto di entrambi i genitori, nel caso di coppia sposata o di coppia di fatto o della madre, nel caso di donna sola. Una volta effettuato il riconoscimento è necessario recarsi alla propria ambasciata per effettuare l’iscrizione del neonato presentando i seguenti documenti:
  • denuncia di nascita rilasciata dall’anagrafe
  • passaporto
  1. Madre/genitori extracomunitari stranieri privi di documenti d’identità:

              E’ consigliato già durante la gravidanza:

  • rivolgersi ai centri ISI per il rilascio del documento STP che da diritto all’assistenza sanitaria presso tutti i servizi pubblici e/o convenzionati della Regione e che può essere utilizzato come documento per il riconoscimento del neonato presso la Direzione sanitaria dell’ospedale in cui è avvenuto il parto;
  • iniziare le pratiche burocratiche necessarie per completare il riconoscimento del bambino anche presso la propria ambasciata. Le donne prive di permesso di soggiorno hanno la possibilità di richiederlo per tutta la durata della gravidanza e per i 6 mesi successivi al parto. Per facilitare l’avvio delle pratiche burocratiche da fare presso la propria ambasciata è possibile rivolgersi all’operatore che segue la gravidanza perché si metta in contatto con i servizi sociali.

⇒Per le situazioni del punto 8 e del punto 9, una volta completate le pratiche di regolarizzazione, è possibile fare il prericonoscimento, ossia riconoscere il bambino durante la gravidanza prima della nascita. Per il               prericonoscimento è necessario rivolgersi al Comune dove la donna/coppia vive.

          10. Nel caso di donna con visto turistico è necessario rivolgersi al centro ISI poiché alcuni tipi di visti non danno diritto all’assistenza sanitaria nei servizi pubblici/convenzionati della Regione

Iscrizione del bambino al Sistema Snaitario Nazionale (SSN)

Per l’iscrizione al Servizio Sanitario è necessario avere il codice fiscale del bambino, che viene rilasciato dall’Agenzia delle Entrate. Con questo documento è necessario recarsi agli uffici della ASL (Ufficio Scelta e Revoca) ove, al momento dell’iscrizione del bambino al Servizio Sanitario, si sceglierà un pediatra tra quelli disponibili nella zona di residenza. Dove non ci sono pediatri disponbili il neonato può essere iscritto al medico di medicina generale. Con tale atto il bambino può accedere a tutti i servizi previsti dal Sistema Sanitario Regionale per i cittadini minorenni.

L’ interruzione volontaria di gravidanza – legge 194/78

Oggi in Italia qualsiasi donna può richiedere l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari.

Dal 1978 questo intervento è regolato dalla legge 194, “Norme per la tutela della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza” (pdf con il test originale di legge in calce) che sancisce le modalità del ricorso all’aborto volontario. L’intervento può essere effettuato presso le strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale e le strutture private convenzionate e autorizzate dalle Regioni.

L’IVG può essere praticata anche dopo i primi 90 giorni quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna, oppure quando siano state accertate gravi anomalie del feto che potrebbero danneggiare la salute psicofisica della donna. In entrambi i casi, lo stato patologico deve essere accertato e documentato da un medico del servizio ostetrico e ginecologico.

La richiesta di IVG è effettuata personalmente dalla donna. Nel caso delle minorenni, è necessario l’assenso da parte di chi esercita la potestà o la tutela. Tuttavia se, entro i primi 90 giorni, chi esercita la potestà o la tutela è difficilmente consultabile o si rifiuta di dare l’assenso, è possibile ricorrere al giudice tutelare. Nel caso in cui la donna sia stata interdetta per infermità di mente, la richiesta di intervento deve essere fatta anche dal suo tutore o dal marito, che non sia legalmente separato.

La legge indica chiaramente che l’interruzione volontaria della gravidanza non è un mezzo per il controllo delle nascite. Il medico che accoglie la richiesta della donna e che rilascia il certificato è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite, nonché a renderla partecipe dei procedimenti abortivi, che devono comunque essere attuati in modo da rispettare la dignità personale della donna. In presenza di processi patologici, fra cui quelli relativi ad anomalie o malformazioni del nascituro, il medico che esegue l’interruzione della gravidanza deve fornire alla donna i ragguagli necessari per la prevenzione di tali processi.

(https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_normativa_845_allegato.pdf)

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