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IUD (Spirale)

Ginecologia

IUD (Spirale)

La spirale (o IUD) è un dispositivo in plastica di forma varia, lungo circa   cm 4 del peso di pochi grammi, su cui è avvolto un filo di rame. Tutte le spirali hanno un filo terminale che fuoriesce dal collo dell’utero per 3 o 4 cm, in modo che la paziente stessa, specialmente dopo ogni mestruazione, possa agevolmente controllare la presenza dello IUD, introducendo un dito in vagina e ricercando il filo sul collo dell’utero  

Come agisce.  L’azione della spirale è collegata a modeste modificazioni locali della mucosa uterina, capaci – insieme a variazioni funzionali delle tube – di disturbare il processo di fecondazione e/o di annidamento dell’uovo. A ciò si aggiunge, nelle spirali al rame, una riduzione della capacita fecondante degli spermatozoi. Uno studio condotto per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dimostrato che il più frequente meccanismo di azione della spirale è quello di prevenire la fertilizzazione dell’uovo, e perciò funziona più come contraccettivo che come miniabortivo.

Lo IUD dev’essere applicato e rimosso dal ginecologo. Non occorre anestesia. I giorni del flusso mestruale sono il periodo migliore per l’applicazione, sia perché il collo dell’utero è leggermente dilatato, sia perché si può escludere uno stato di gravidanza. Lo IUD può essere inserito anche nelle donne che hanno effettuato una IVG e/o un aborto spontaneo: sarà opportuno attendere il primo ciclo mestruale dopo l’interruzione della gravidanza. Dopo un parto la spirale potrà essere inserita dopo la visita post partum con la costatazione del ritorno dell’utero alle sue normali condizioni di tono e volume.

L’uso della spirale nelle donne che non hanno mai partorito può provocare disturbi simili ai dolori mestruali, che tendono a regredire dopo i primi 3 o 4  mesi. Le prime mestruazioni dopo l’applicazione dello IUD sono spesso più abbondanti e ci possono essere delle piccole perdite tra una mestruazione e l’altra. Sono molto rari i casi di disturbi, tali da rendere necessaria la rimozione della spirale (5% circa).

Prima di inserire lo IUD è necessario fare una visita ginecologica accurata ed un pap-test. Allo stato attuale delle ricerche è da escludere che lo IUD provochi tumori.

CONTROINDICAZIONI: infiammazioni cronici e/o recidivanti dell’apparato genitale costituiscono una controindicazione all’applicazione dello IUD, mentre la nulliparità o precedente parto cesareo sono controindicazioni relative, da valutare con il ginecologo. Perdite di sangue al di fuori delle mestruazioni richiedono accertamenti ed una eventuale terapia prima dell’applicazione.

SicurezzaLo IUD è uno dei metodi contraccettivi più efficaci (98-99%). Poiché esiste la possibilità di un’espulsione parziale o totale inavvertita, la donna dovrebbe imparare ad accertare da sola la presenza dello IUD, soprattutto dopo ogni mestruazione.  E’ opportuno sottoporsi ad una visita di controllo dopo il primo mese di uso e successivamente ogni sei/otto mesi. Lo IUD può essere usato per diversi anni; i dispositivi intrauterini medicati con rame vanno sostituiti seconda del tipo ogni  3 o 5 anni. Dopo la rimozione, in genere è consigliabile un mese di pausa prima di  introdurre un nuovo IUD.

Se una donna rimane gravida con la spirale inserita e decide di portare avanti la gravidanza, lo IUD può essere rimosso entro la 12a settimana per ridurre il rischio di un aborto con infezione, ma – se viene lasciato nell’utero – non provoca malformazioni al prodotto del concepimento.

IUD medicati.  Vi sono dispositivi intrauterini che ottengono l’effetto contraccettivo rilasciando una dose costante di ormoni ad effetto progestinico; rappresentano una scelta terapeutica per la riduzione del flusso mestruale e della dismenorrea. E’ inoltre indicata in caso di endometriosi e adenomiosi , per ridurre il volume dei fibromi, proponendosi quindi  come terapia medica in alternativa ad una chirurgia demolitiva dell’utero

Sonoisterografia

L’ecografia transvaginale è un’indagine diagnostica molto sensibile nell’identificazione della patologia della cavità endometriale, ma spesso non fornisce sufficienti informazioni diagnostiche.

La sonoisterografia (SIS) si caratterizza per una sensibilità ancora maggiore e per questo riveste un importante ruolo nella diagnosi differenziale poiché definisce le lesioni endocavitarie per forma, ecostruttura, dimensioni, vascolarizzazione. Permette inoltre una più accurata valutazione preoperatoria nella pianificazione della tipologia e nella difficoltà dell’intervento da effettuare (isteroscopia operativa, isterectomia, etc.) e consente di diagnosticare o escludere malformazioni uterine ed incontinenza del canale cervicale evitando di ricorrere ad esami invasivi quali l’isteroscopia diagnostica.

La sonoisterografia (SIS) è una tecnica di semplice esecuzione, ben tollerata dalle pazienti e scarsamente invasiva  che ha la durata media di 15-30 minuti.

INDICAZIONI

• sanguinamento uterino anomalo, specialmente in menopausa o durante terapia sostitutiva (HRT) o con Tamoxifene

• endometrio non  ben visibile ecograficamente, come nel caso di uteri con molti fibromi che non ne consentono uno studio accurato

• sospetto ecografico di patologia endocavitaria (polipi endometriali, miomi sottomucosi, malformazioni uterine).

• sterilità/infertilità/poliabortività

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QUANDO SI ESEGUE?

Se la paziente è in età fertile il momento migliore per sottoporsi all’esame è rappresentato

dalla fase proliferativa, ossia nei giorni appena successivi alla fine del flusso mestruale (entro il 10-11° giorno dall’inizio delle mestruazioni – comunque appena prima della presunta ovulazione).

Nelle pazienti in post menopausa o in terapia con GnRHa  non ci sono limitazioni di periodo

COME SI ESEGUE?

L’esame non richiede alcuna preparazione specifica.

Ci sono dei consigli che rendono l’esame più semplice da eseguire e meno “fastidioso” per la paziente:

  • svuotare la vescica appena prima dell’esame
  • assumere 1 supposta di buscopan (circa 1 ora prima dell’esame –  serve a “rilassare” la muscolatura e facilitare il passaggio attraverso il canale cervicale)
  • eseguire una lavanda interna con betadine lavanda vaginale pronta: 1 lavanda appena prima dell’esame + 1 appena rientrate a casa

-arrivare in ambulatorio circa 10 minuti prima dell’esame così da potersi “rilassare” ed ed avere il tempo di prepararsi “emotivamente” all’esame

L’esame inizia con un’ecografia transvaginale di base che permette di valutare le caratteristiche dell’apparato genitale interno e di escludere un’ovulazione precoce che porterebbe al rinvio della sonoisterografia.In un secondo momento viene estratta la sonda ecografica e, introdotto uno speculum in vagina, si visualizza la cervice e si inserisce un sottile catetere sterile monouso (catetere di Goldstein) .del diametro esterno di 1 mm attraverso il canale cervicalefino all’orifizio uterino interno. A questo punto, rimosso lo speculum,  si reinserisce la sonda vaginale e, sotto controllo ecografico, si iniettano alcuni cc di soluzione fisiologica sterile che, distendendo la cavità uterina, permette di valutare la morfologia, la presenza di eventuali patologie (polipi, miomi, setti uterini, ecc.) e lo spessore della mucosa endometriale.  

RISCHI

Tale metodica presenta un’ottima tollerabilità nella maggior parte delle pazienti.

Gli effetti collaterali (algie pelviche simil mestruali, sanguinamenti vaginali, reazione vaso-vaginale) sono molto rari e di lieve entità.

Nelle pazienti in post menopausa e nelle pazienti precedentemente sottoposte ad interventi uterini (TC) esiste la possibilità di non riuscire a superare l’OUI (orifizio uterino interno) con il catetere e quindi di dover sospendere l’esame.

L’esame può inoltre essere rinviato in caso di infezioni vaginali che rendano “pericoloso” il passaggio del catetere dalla vagina alla cavità uterina.

IVG ed aborto spontaneo: il decorso post operatorio

La risposta dell’organismo ad una interruzione di gravidanza risulta molto variabile da soggetto a soggetto pertanto segni e sintomi possono presentarsi con diversa intensità e caratteristiche.

Di seguito vengono elencati i disturbi più frequentemente accusati dalle pazienti;  in caso di comparsa di sintomi diversi o con caratteristiche che si discostano da quanto in seguito descritto è comunque consigliabile rivolgersi al proprio ginecologo o c/o la struttura dove è stato eseguito l’intervento.

  • Perdite ematiche
  • Dolori addominali
  • Turgore al seno
  • Febbre

 Perdite ematiche – Le perdite di sangue possono esserci o non esserci affatto: la copiosità della perdita è legata alla storia ginecologica della donna e all’epoca di gravidanza cui si era arrivati.  L’apposizione della borsa del ghiaccio sul ventre può essere di aiuto se le perdite risultano troppo abbondanti (più di 10 assorbenti igienici nell’arco della giornata);  è sconsigliato l’uso di farmaci antiemorragici se non dopo consultazione specifica con il proprio curante. La prima mestruazione dopo l’interruzione della gravidanza avviene, di norma, dopo 30-40 giorni e potrebbe risultare più abbondante rispetto al normale.

Dolori addominali – Dolori addomino-pelvici, riferiti come crampi all’utero, sono frequenti e si presentano più facilmente dopo qualche giorno dall’intervento; talvolta si estendono verso la regione lombare e vengono riferiti dalle pazienti come “renali”. Questi dolori sono “normali” in quanto determinati dal ridimensionamento dell’utero.  Il riposo è di solito sufficiente a risolvere questa sintomatologia;  è inoltre di aiuto mantenere l’intestino libero, in questo periodo.  L’uso di farmaci antidolorifici non è di norma richiesto ma può essere discusso in relazione alla specifica sintomatologia della paziente.

Turgore al seno – Gli ormoni della gravidanza rimangono in circolo per 10-15 gg dopo la fine della gravidanza per tanto, durante questo lasso di tempo, il seno potrebbe restare turgido e dolorante. Il ginecologo curante deve essere contattato nel caso in cui si verifichi la montata lattea.

Febbre- I processi di riassorbimento delle proteine e la tensione dei giorni precedenti all’intervento possono determinare uno stato di lieve alterazione della temperatura: qualche linea di febbre non deve quindi allarmare. E’ invece necessario un controllo ginecologico nel caso di temperatura elevata accompagnata da dolori addomino-pelvici.

NOTE COMPORTAMENTALI

L’unico reale rischio a cui si può andare incontro dopo una interruzione volontaria di gravidanza è determinato dalle infezioni; al fine di evitare questo evento, si raccomanda di seguire le raccomandazioni a seguito:

  • Per tutto il periodo delle perdite di sangue evitare i bagni in immersione (piscina, mare, vasca); nessuna controindicazione invece per l’uso di docce.
  • Utilizzare solo assorbenti igienici esterni.
  • Non fare lavande vaginali interne.
  • Attendere almeno 15-20 gg. prima della ripresa dei rapporti sessuali.
  • Una visita di controllo è consigliata dopo 15-20 giorni dall’intervento.

La patologia della mammella

INFORMAZIONI UTILI SULLE MALATTIE DELLE MAMMELLE

  • La grande maggioranza delle patologie mammarie è di natura benigna e può manifestarsi a tutte le età, sia con modificazioni di vario tipo della struttura dell’organo (noduli, addensamenti…) che con sintomi di vario genere (dolori, secrezioni, infiammazioni…).
  • La mammella è un organo che risente notevolmente delle diverse fasi del ciclo mestruale oltre che di eventi tipici della vita della donna, quali gravidanza, allattamento, menopausa, per cui è normale che in tali periodi cambi aspetto sia all’apparenza che al tatto.
  • Il dolore è spesso un sintomo non significativo,  specialmente se compare in periodo premestruale, e di norma si associa a patologie benigne.
  • L’uso di taluni farmaci può influire sulla condizione delle mammelle:  gli psicofarmaci (sedativi, antidepressivi) specialmente se assunti per lunghi periodi, possono far comparire secrezioni dai capezzoli.
  • L’uso di contraccettivi ormonali che in passato era stato considerato come “a rischio” per patologia mammaria è oggi considerato sicuro dalla maggior parte degli studi.
  • Si ammalano soprattutto le donne, ma anche le mammelle maschili possono essere interessate da malattie benigne (ad esempio la ginecomastia, cioè un anomalo rigonfiamento della mammella) o, molto più raramente, maligne (cancro).

 CONSIDERAZIONI SUL TUMORE (MALIGNO) DELLA MAMMELLA.

Il tumore alla mammella è la più frequente causa di morte per neoplasia nella donna;  la sua incidenza è in costante aumento: attualmente 1 donna su 13 nel corso della propria vita si ammala di tumore al seno ed il rischio aumenta dopo i 40 anni di età.

Non è ancora nota la causa originaria di questa temibile malattia ma sono state individuate circostanze che aumentano la possibilità di incorrervi: i così detti “fattori di rischio”. La presenza di uno o più fattori di rischio non identifica i soggetti destinati ad ammalarsi di cancro ma solo un aumento di probabilità di incorrere in questa malattia; d’altro canto, l’assenza di tali fattori non è garanzia di non ammalarsi.

I principali fattori di rischio per il tumore della mammella sono:

  • un precedente tumore mammario
  • la familiarità (soprattutto di primo grado e per patologia comparsa in età inferiore ai 50 anni)
  • l’assunzione di estrogeni in menopausa (quando non bilanciata dal progestinico)
  • l’obesità
  • la nulliparità
  • lo sviluppo puberale precoce e/o la menopausa tardiva
  • il fumo e l’abuso di alcool
  • età superiore ai 40 anni

⇒ gli interventi di chirurgia plastica, l’esposizione a radiazioni sulla ghiandola mammaria (mammografia), l’uso di anticoncezionali non costituiscono un fattore di rischio.

DIAGNOSI PRECOCE

Purtroppo non esistono metodi di reale prevenzione della patologia tumorale della mammella: tutte le indagini che si possono fare hanno lo scopo di ottenere una diagnosi quanto più precoce possibile di un eventuale tumore. Questo è però un fattore estremamente importante in quanto esiste una correlazione diretta tra dimensioni del focolaio tumorale e le probabilità di guarigione (quanto più piccolo è il tumore tanto maggiori sono le probabilità di sopravvivenza!). Un tumore maligno scoperto e curato precocemente ha una probabilità di guarigione pari al 90%!  La diagnosi precoce può essere ottenuta su persone asintomatiche ed apparentemente sane con i test di screening.

 MAMMOGRAFIA (MX)

La mammografia è un esame radiologico: la mammella viene compressa tra 2 piani e “fotografata” in 3 proiezioni. A volte possono essere eseguite anche proiezioni supplementari per ottenere ingrandimenti di zone particolari. Le immagini così ottenute permettono di vedere e valutare la struttura interna della ghiandola e degli altri tessuti che compongono la mammella. Abitualmente la sola visita al seno, basata sulla palpazione, permette di riconoscere i noduli con diametro superiore a 1 cm; in caso di seno voluminoso e /o di localizzazione profonda del nodulo, inoltre, la capacità diagnostica della palpazione è ancora più limitata. La MX può essere in grado di riconoscere alterazioni molto piccole, anche di diametro inferiore a 5 mm, e/o alterazioni focali quali le microcalcificazioni che sono spesso la manifestazione d’esordio della patologia tumorale maligna della mammella.

ECOGRAFIA MAMMARIA 

L’esame, completamente innocuo ed indolore, sfrutta la capacità dei fasci ultrasonori di penetrare la ghiandola mammaria e di evidenziarne la sua struttura. Questo esame si utilizza come completamento della MX quando la struttura della mammella è molto densa e le lastre appaiono omogeneamente chiare (mammella giovanile), in caso di noduli clinicamente palpabili ma non evidenziabili alla MX, quando un nodulo visibile alla lastra mostra caratteristiche di dubbia interpretazione. Può essere impiegato come esame di prima scelta per lo studio della natura di un nodulo chiaramente palpabile, poiché in tal caso può fornire non solo indicazioni utili ma spesso anche risolutive. Impiegando la tecnica del color-doppler, questa metodica può inoltre valutare la vascolarizzazione della lesione evidenziata. L’indagine ecografica è inoltre utilizzata nel monitoraggio dei casi a rischio per non dover ricorrere costantemente all’esame radiologico, evitando in tal modo  di sottoporre le pazienti ad una dose eccessiva di radiazioni.

AUTOPALPAZIONE 

L’autoesame del seno può’ costituire un valido ausilio diagnostico e può contribuire ad anticipare la diagnosi di patologia mammaria. Deve essere eseguito con cadenza mensile, preferibilmente durante il flusso mestruale (quando ancora presente), cioè in un momento in cui non ci sia tensione della ghiandola.

  • Le mammelle devono essere osservate allo specchio a braccia sollevate sopra la testa, per verificare che non ci siano variazioni di forma, deviazioni del capezzolo o retrazioni della cute.
  • In posizione sdraiata: il braccio sinistro alzato dietro la testa, la mano destra esamina la mammella sinistra, poi la mano sinistra esamina la mammella destra, tenendo il braccio destro dietro la testa. La palpazione deve essere delicata, con la mano a piatto, comprimendo la ghiandola contro le coste, con il palmo della mano o i polpastrelli riuniti; il movimento è rotatorio, la compressione prima lieve poi più robusta, esaminando tutta la mammella.
  • Una compressione dell’area areolare concludono l’esame, per verificare la presenza/assenza di secrezioni dal capezzolo.

Lo scopo dell’autopalpazione non è quello di fare una diagnosi ma di riconoscere eventuali cambiamenti, da segnalare prontamente al proprio curante.

Con quale cadenza sottoporsi agli esami di screening?

La visita senologica dovrebbe essere eseguita con cadenza annuale.  La prima MX, in assenza di fattori di rischio, viene di norma eseguita a 40 anni; successivamente si consiglia un controllo annuale, associato con lo studio ecografico. Prima dei quarantanni, è consigliabile un controllo ecografico annuale; l’epoca di inizio di questa indagine è da valutare col proprio ginecologo in base alla storia familiare ed alle caratteristiche della propria ghiandola mammaria; anche se il compimento dei 25/30 anni rappresenta uno “start point “ ottimale anche nei casi non considerati a rischio. Ecografia e MX sono inoltre consigliabili in caso di lesioni sospette, indipendentemente dal periodo in cui ci si era già sottoposti all’indagine.

Esercizi di riabilitazione motoria dopo interventi chirurgici al seno

Una mini guida facile ma pratica per la riabilitazione motoria dopo un intervento al seno che abbia comportato anche la dissezione ascellare (DA o svuotamento ascellare). La mobilizzazione precoce ha infatti il vantaggio di portare in breve tempo ad un recupero funzionale assoluto dell’arto che ha subito l’intervento di DA. L’osservazione metodica degli esercizi illustrati e l’assistenza del fisioterapista  permetteranno un’ottimale riabilitazione postoperatoria.

Dopo l’intervento si potranno avvertire alcune sensazioni nella sede dell’operazione. L’area della ferita può dare una sensazione di disagio o di tensione che rappresenta un decorso normale dopo un intervento chirurgico. Solo se la sensazione si tramuta in dolore importante, eventualmente accompagnato da febbre, si consiglia di sospendere gli esercizi. Queste sensazioni possono verificarsi per traumatismo chirurgico di piccoli nervi sensitivi. Le sensazioni sono molto variabili da una paziente all’altra e sono comunemente così descritte: senso di pesantezza, mancanza di sensibilità, formicolii, senso di goccia d’acqua fredda che scende lungo il braccio, bruciore…  Alcune donne avvertono maggiormente queste sensazioni in condizioni di stanchezza o per cambiamenti climatici. Tipico disturbo legato ad un nervo chiamato muscolocutaneo del braccio è l’insensibilità di un’area del braccio vicino all’ascella. In genere questi disturbi scompaiono appena le fibre nervose si sono rigenerate, in un tempo che va da qualche settimana ad un anno. Questi disturbi non dovranno interferire con la normale attività di tutti i giorni e con gli esercizi fisioterapici consigliati.

Gli esercizi motori vanno iniziati nella prima settimana dopo l’intervento chirurgico. Essi devono essere eseguiti per riacquistare completamente la motilità del braccio e della spalla dal lato dell’intervento e andranno ripetuti per tre volte al giorno. Durante l’esecuzione degli esercizi è fondamentale che il corpo rimanga sempre ben allineato (schiena diritta, spalle simmetriche, testa che guarda avanti ). Per raggiungere questo scopo è bene eseguire tali esercizi davanti allo specchio. Ricordate inoltre che tutta la giornata è un continuo esercizioil braccio infatti va usato per tutto quello che può essere la attività quotidiana; viene spontaneo usare poco il braccio dal  lato operato, come si si avesse paura di lederlo in qualche modo, in realtà il suo utilizzo è la cosa migliore che possiate fare per riprenderne presto e completamente la funzione.

La maggior parte delle pazienti riprendono una motilità normale in sei settimane. Talvolta dopo una quindicina di giorni dall’intervento potrete avere la sensazione di sentirvi più legate nei movimenti. Questo è dovuto alle fibre di riparazione cicatriziale a livello ascellare, ed è in questo periodo che viene richiesta la massima riabilitazione motoria. La respirazione profonda associata agli esercizi aiuterà ad ottenere un miglior rilassamento. Sedetevi comodamente e inspirate profondamente e lentamente in modo da espandere l’addome poi espirate lentamente buttando fuori tutta l’aria. Ripetete questo esercizio molte volte. Questa tecnica è utile durante lo svolgimento degli esercizi perché permette di avvertire minor disagio e tensione nell’area della ferita. Un senso di fastidio e modesto dolore possono essere normali durante lo svolgimento di tutti questi esercizi, e solo quando assumono intensità importante vi è controindicazione alla prosecuzione degli esercizi stessi. Effettuare regolarmente gli esercizi permetterà una diminuzione progressiva dei disturbi.

ESERCIZI

1. tecnica di respiro

Distese a letto, braccia lungo i fianchi, ginocchia piegate. Inspirate profondamente e lentamente dal naso, in modo da espandere l’addome al di sotto dell’ombelico, quindi espirate lentamente svuotando completamente i polmoni. Eseguite questo esercizio per qualche minuto.
 
2. aprire e rilasciare





Distese a letto, ginocchia piegate, flettete il braccio portando la mano sulla spalla, quindi portatelo in fuori mantenendo il contatto del gomito con il materasso fino ad avvertire una tensione a livello ascellare o pettorale (Fig. 1). Mantenete la posizione raggiunta rilasciando la muscolatura del braccio e della spalla eseguendo la tecnica del respiro per 30 secondi, quindi se la tensione è diminuita proseguite nel movimento di apertura fino ad avvertire nuovamente la sensazione di tensione che manterrete per altri 30 secondi (Fig. 2). Ritornate alla posizione di partenza. Ripetete l’esercizio 5 volte.

3. sollevare aprendo e chiudendo i pugni

Gomito disteso e braccio aderente all’orecchio. Distese a letto, braccia lungo i fianchi, ginocchia piegate. Sollevate lentamente le braccia parallele fino a portarle in posizione verticale, mantenete la posizione aprendo e chiudendo i pugni 5 volte (in modo da contrarre la muscolatura delle braccia) e ritornate alla posizione di partenza. Ripetere l’esercizio per 5 volte.

4. aprire e chiudere

In piedi o sedute con i piedi ben appoggiati per terra, intrecciate le mani tenendo la testa diritta. Lentamente sollevate le braccia sopra la testa. Superate dolcemente la testa e arrivate con le mani a toccarvi dietro il collo. Adesso aprite i due gomiti lateralmente e richiudeteli per 5 volte. Se doveste avvertire disagio nell’area della ferita, mantenete la posizione e lavorate con la tecnica del respiro: inspirate profondamente con il naso ed espirate lentamente con la bocca. La prima volta che eseguirete questo esercizio non riuscirete a raggiungere la posizione finale, ma con il passare dei giorni migliorerete progressivamente fino a raggiungere senza fatica tale posizione. Riportate lentamente le mani sopra la testa ed abbassate dolcemente le braccia. Attenzione: a) non inarcate la schiena  b) tenete la testa diritta.

5. risalire il muro di fronte

In piedi di fronte al muro ad una spanna da esso mettete tutte e due le mani contro la parete all’altezza delle spalle e fate salire le dita contro la parete parallelamente. Arrivate alla massima altezza possibile avvicinandovi completamente alla parete, fermatevi qualche secondo e ritornate nella posizione di partenza. Ripetete questo esercizio per 5 volte
Attenzione: non inarcate la schiena.

6. risalire il muro di lato

Avrete bisogno per questo esercizio di un pezzetto di nastro adesivo. In piedi con il fianco non operato rivolto verso la parete, a circa tre spanne da essa, appoggiate la mano sul muro all’altezza della spalla, utilizzando le dita risalite il muro distendendo il braccio e avvicinandovi completamente alla parete. Dove arrivano le vostre dita mettete un segno con un pezzetto di nastro adesivo. Ora eseguite l’esercizio nello stesso modo con il braccio operato, cercando di avvicinarvi sempre di più al segno che avete lasciato sul muro.Quindi allontanatevi dalla parete e scivolate con la mano fino all’altezza della spalla. Ripetere l’esercizio per 5 volte. Attenzione: mentre sollevate il braccio non inclinatevi dal lato opposto.

IL LINFEDEMA
Il “linfedema” è quel gonfiore alla mano, avambraccio o braccio che può comparire dal lato dell’intervento chirurgico. La frequenza del linfedema con la tecnica chirurgica di dissezione ascellare in cui vengono conservati muscoli e fasci neuro-vascolari è molto bassa ed è circa il 2%. La mobilizzazione precoce e gli esercizi di riabilitazione motoria sono un’ottima prevenzione del linfedema, che può essere evitato anche grazie ad alcuni accorgimenti. Potete usare un cuscino per appoggiare l’arto in modo che quando siete sdraiate il drenaggio venoso sia facilitato. Il rallentamento del drenaggio linfatico che si può avere dopo la rimozione dei linfonodi ascellari potrebbe predisporre alle infezioni, per cui vi consigliamo di proteggere la mano ed il braccio da ferite, punture, abrasioni e scottature. Se ciò avvenisse vi raccomandiamo di disinfettare accuratamente la parte. Se avete l’hobby del giardinaggio usate dei guanti protettivi. Nel caso si verificasse un’infezione, questa dovrà essere trattata dal medico con una terapia antibiotica. Sarà anche importante salvaguardare l’arto da possibili traumatismi non sollevando e non spostando grossi pesi ai quali non siete abituate. Evitate inoltre prelievi di sangue e/o flebo sul braccio operato. In caso di necessità utilizzate l’altro braccio.
N.B.: nel caso doveste avvertire, anche a distanza di anni dall’intervento il braccio, l’avambraccio o la mano più gonfi,  è opportuno che vi rivolgiate subito al fisioterapista.
Questi esercizi andranno eseguiti a casa e con regolarità (tre volte al giorno per 6 settimane), fino al raggiungimento di una completa ripresa motoria che dovrà avvenire entro le 2 settimane successive alla rimozione del drenaggio. Se così non fosse sarà indispensabile rivolgersi in un Centro di Riabilitazione.
Durante il trattamento radiante è opportuno garantire il mantenimento dell’elasticità dei tessuti irradiati, la risoluzione delle limitazioni funzionali dell’arto eventualmente presenti dopo l’intervento e la prevenzione di rigidità articolari e della stasi linfatica. Sarà quindi opportuno svolgere, durante ed eventualmente dopo tale terapia, tutti gli esercizi illustrati una volta al giorno per almeno due mesi. É in ogni caso consigliabile rivolgersi a un Centro di Riabilitazione, al fine di evitare l’instaurarsi di limitazioni funzionali.

il perineo ed il pavimento pelvico

Il perineo
Il perineo è l’insieme delle parti molli che chiudono in basso la pelvi. Il termine “pelvi” deriva dal greco e dal latino e significa coppa o piatto; al suo interno sono contenuti i visceri pelvici: la vescica, l’utero e il retto.
Il perineo è costituito da un piano cutaneo e un piano muscolare (pavimento pelvico). Lo strato cutaneo ha la forma di un rombo, che può essere suddiviso in due triangoli:
a)il triangolo anteriore o uro-genitale, attraversato dall’uretra e dalla vagina;
b)il triangolo posteriore o anale, dove sbocca il canale anale.

Il pavimento pelvico
Il pavimento pelvico è l’insieme di muscoli e fasce che chiudono in basso la pelvi. È essenzialmente composto dal muscolo elevatore dell’ano, a sua volta maggiormente rappresentato dal muscolo pubo-coccigeo.
Il muscolo pubo-coccigeo prende origine dal pube, forma una specie di “laccio muscolare” attorno all’uretra, alla vagina e all’ano e termina sul coccige. Tale muscolo è dotato di una duplice azione:
a)la prima esercita la funzione di chiusura e apertura dell’uretra, della vagina e dell’ano;
b)la seconda assicura il sostegno degli organi della pelvi (vescica, utero, retto).
Questo muscolo volontario può essere rafforzato: ad es. si contrae quando si vuole evitare la fuoriuscita d’urina dalla vescica o di feci dal retto. Si rilascia invece quando s’inizia la minzione o la defecazione. Inoltre, svolge un importante ruolo nell’ambito dell’attività sessuale. Le numerose fibre del muscolo pubo-coccigeo che s’inseriscono nelle pareti della vagina sono l’evidenza anatomica che le sensazioni sessuali all’interno della vagina sono strettamente correlate al tono muscolare di tale muscolo.

La valutazione del pavimento pelvico
Un esame per valutare la forza contrattile dei muscoli del pavimento pelvico è il “test del pubo-coccigeo”. L’operatore appoggia “a piatto” due dita, indice e medio, sulla parete posteriore della vagina. Quindi invita la donna a stringere o chiudere la vagina attorno alle dita. La donna sente la contrazione del muscolo pubo-coccigeo e l’operatore può graduare la forza muscolare.
Una possibilità per quantificare oggettivamente la forza contrattile del muscolo pubo-coccigeo è rappresentata dall’uso del perineometro di Kegel. Si tratta di un semplice palloncino cilindrico, gonfiato con aria o acqua da inserire in vagina, collegato ad un manometro. L’aumento pressorio all’interno del palloncino è direttamente proporzionale alla forza contrattile del muscolo pubo-coccigeo.
È stata ipotizzata una correlazione tra il PC-test manuale e quello monometrico.
Un’altra opportunità per valutare la forza muscolare del muscolo pubo-coccigeo è l’impiego dei coni vaginali di Plevnik. Si tratta di una serie di coni, con peso progressivamente crescente, che trattenuti in vagina per almeno 1 minuto, stando in piedi oppure camminando, esprimono l’entità della forza muscolare.

Le alterazioni del pavimento pelvico
Le lesioni traumatiche del parto, le carenze ormonali della menopausa, i processi di invecchiamento, gli interventi chirurgici pelvici, le malattie neurologiche, ecc…possono portare ad una ridotta prestazione muscolare del pavimento pelvico, in particolare della sua componente pubo-coccigea.
Un’insufficienza muscolare del pavimento pelvico può determinare come conseguenza una certa difficoltà nei rapporti sessuali, una perdita involontaria di urina e/o di feci, e una caduta verso il basso dell’utero e delle pareti vaginali.
Già negli anni ’50 A. Kegel riferiva che oltre il 40% delle donne non è in grado di attivare selettivamente il muscolo pubo-coccigeo. Parecchie donne, infatti, durante la contrazione del perineo attivano anche altri gruppi muscolari (glutei, adduttori, addominali, diaframmatici). Tali disfunzioni, chiamate co-contrazioni muscolari perineali si dividono in:
a)agoniste, quando la contrazione perineale si associa a quella dei muscoli dei glutei e degli adduttori;
b)antagoniste, quando la contrazione perineale si associa a quella dei muscoli dell’addome e del diaframma.
Infine, una buona percentuale di donne, dal 27 al 30%, alla richiesta di contrarre i muscoli perineali, attiva solo i muscoli addominali: in pratica “spingono” anziché “trattenere”. Tale disfunzione è definita inversione del comando perineale.

RIABILITAZIONE DEL PIANO PERINEALE

La riabilitazione perineale si avvale di una serie di tecniche finalizzate a migliorare la contrattilità (forza) ed il tono (resistenza) della muscolatura del pavimento pelvico.

Le principali tecniche riabilitative sono rappresentate dalla chinesiterapia, dal biofeedback e dall’elettrostimolazione funzionale.

L’obiettivo è il miglioramento delle performances perineali, in modo da consentire al pavimento pelvico di espletare correttamente le sue funzioni di sfintere e di sostegno. In condizioni normali, l’attivazione di questa muscolatura garantisce la continenza urinaria e fecale, previene un prolasso genitale e mantiene la qualità della vita sessuale in termini di sensibilità vaginale e sensazione orgasmica.

Chinesiterapia perineale

La chinesiterapia perineale consiste in una serie di esercizi di contrazione e rilasciamento della muscolatura, diretti a ripristinare il controllo soggettivo sulla muscolatura. Il programma prevede tre fasi sequenziali:

  1. riconoscimento dei muscoli del perineo
  2. allenamento  dei muscoli
  3. utilizzo dei muscoli

Prima di iniziare gli esercizi è indispensabile una fase preliminare di rilassamento generale, concentrazione e respirazione diaframmatica.

3pavpelvicp 1. riconoscimento dei muscoli del perineoSeduta sul letto, comodamente appoggiata a dei cuscini, gambe leggermente piegate e divaricate. Contrarre (stringere) i muscoli del perineo (come se si dovesse trattenere le feci o l’urina) evitando di contrarre altri muscoli (interni della coscia, glutei o addominali). Respirare regolarmente inspirando durante la contrazione ed espirando durante il rilassamento. In questa fase non è importante la forza della contrazione ma la contrazione corretta e la concordanza  contrazione/respiro
2. allenamento  dei muscoliQuesta seconda fase è dedicata al miglioramento della forza e della resistenza dei muscoli.Contrarre forte i muscoli del perineo per 1-2 secondi durante l’espirazione poi rilasciare completamente per 2-4 secondi prima di ripetere l’esercizio. Il tempo di lavoro (contrazione) deve essere circa la metà del tempo di riposo. Ripetere l’esercizio 5-10 volte.Contrarre e mantenere la contrazione per 4-5 secondi, sempre durante l’espiro poi rilasciare la muscolatura per 8-10 secondi. Ripetere l’esercizio 5-10 volte.Ripetere gli esercizi in diverse posizioni durante la giornata, semisdraiata (gambe leggermente divaricate e piegate), seduta su una sedia o accovacciata, in piedi (anche leggermente piegate, con le mani appoggiate ad un tavolo).
1-pavpelvico                                                 2-pavpelvicoRipetere l’intera serie degli esercizi in gruppi di 10 contrazioni almeno 3 colte al giorno. Il numero degli esercizi può variare in base alle condizionidi allenamento dei muscoli; se dopo alcuni esercizi non si sente più la contrazione, interrompere e riprendere dopo qualche minuto di pausa; se invece gli esercizi vengono effettuati con facilità, aumentarli gradatamente.

3.utilizzo dei muscoli perineali

Una volta imparata la contrazione dei muscoli perineali, il passo successivo è quello di utilizzarli durante gli sforzi della vita quotidiana, ad esempio prima di tossire, di sollevare o spostare un peso, di saltare in palestra o di scendere gli scalini.

La chinesiterapia pelvi perineale ha, nell’ambito del trattamento conservativo uro ginecologico, un ruolo particolarmente importante esplicato tramite il rinforzo dell’azione di supporto viscerale del pavimento pelvico e della motricità volontaria sfintero-perineale, il miglioramento della tonicità vaginale e dell’elasticità tissutale e lo sviluppo dell’attività riflessa sfintero-perineale in occasione di bruschi aumenti pressori intraddominali.

Le tecniche chinesiterapiche si basano sull’utilizzo elettivo del muscolo pubococcigeo, dotato di una contrazione sinergica e quella dello sfintere striato uretrale. Il programma terapeutico mira al ripristino degli automatismi addominoperineali attraverso la presa di coscienza della muscolatura perineale, l’eliminazione di ogni co-contrazione muscolare sinergica all’attività perineale, agli esercizi di rinforzo perineale selettivo fino al training volto all’automatizzazione dell’attività perineale durante gli atti della vita quotidiana. L’indicazione principale è rappresentata dall’inefficienza perineale pura o associata ad incontinenza urinaria e/o al prolasso genitale.

Biofeedback

Il biofeedback è una ginnastica attiva che aiuta a riconoscere ed a contrarre correttamente la muscolatura del pavimento pelvico, abitualmente usata. Prevede gli stessi esercizi di contrazione perinale ma si avvale di un computer che trasforma l’attività muscolare (rilevata attraverso una sonda vaginale o anale) in segnali visivi o sonori. La donna è distesa su un lettino, si introduce una sonda vaginale o anale e vengono applicate sull’addome delle placchette autoadesive. Sul monitor la paziente vede il grafico del proprio lavoro muscolare poiché ad ogni contrazione corrisponde un tracciato che ne indica l’intensità e la durata mentre un secondo grafico avverte se si stanno utilizzando i muscoli addominali, ossia quelli non corretti.

Questo tipo di terapia rappresenta una modalità per influenzare eventi fisiologici inconscio sfuggiti ai meccanismi di controllo in seguito ad eventi patologici. Nel caso specifico della rieducazione perineale il biofeedback permette la presa di coscienza del complesso vescico-uretro-perinealetramite una retro informazione istantanea degli eventi detrusorialie dell’attività muscolo-perineale, permettendo nel contempo una verifica del trattamento in atto. E’ indicato nel trattamento di varie condizioni cliniche associate all’incontinenza: deficitaria presa di coscienza della muscolatura perineale, presenza di co-contrazioni sinergiche agoniste e/o antagoniste, inversione del comando perineale, ipovalidità perineale.

Elettrostimolazione perineale

L’ elettrostimolazione perineale è una stimolazione passiva che, oltre a favorirla presa di coscienza, stimola i muscoli del pavimento pelvico. E’ praticata mediante una sonda vaginale o anale munita di elettrodi superficiali, che conducono una corrente elettrica continua assolutamente indolore. Tale sonda emette impulsi elettrici di intensità modulata sulla singola paziente e sotto diretto controllo del terapista. L’elettrostimolazione può alleviare l’eventuale dolore delle cicatrici episiotomia durante i rapporti sessuali: la cicatrice è toccata da un puntale attraverso  il quale passa corrente continua antalgica che toglie il dolore e rilascia questo tratto muscolare dando così la possibilità di una normale ripresa dei rapporti sessuali.

La stimolazione elettrica intravaginale esercita effetti positivi sia sul meccanismo di chiusura uretrale che sull’inibizione detrusoriale.

incontinenza urinaria e vescica iperattiva

L’incontinenza urinaria femminile è una patologia estremamente frequente ed invalidante per la donna. E’ definita come “la manifestazione di una perdita involontaria di urina”. Può verificarsi a seguito di anomalie funzionali delle basse vie urinarie o come esito di altre patologie che tendono a causare perdite in diverse situazioni. Si distinguono diverse forme di incontinenza:

Incontinenza urinaria da sforzoPerdita urina associata a sforzo, fatica, starnuto o colpo tosse
Urgenza menzionaleDesiderio impellente ed improcrastinabile di urinare
Incontinenza da urgenzaperdita involontaria di urina accompagnata, o immediatamente preceduta, da improvvisa, impellente e indifferibile necessità di urinare
NicturiaRisvegli notturni (> 1 volta) x desiderio forte di urinare
Incontinenza urinaria mistaPerdita involontaria di urina associata sia all’urgenza che a sforzo, fatica, starnuto o colpo tosse
Frequenza minzionale(pollachiuria)> 7 atti minzionali nella giornata
Vescica iperattivasi verifica con o senza incontinenza urinaria da urgenza e solitamente associata a frequenza e nicturia. La vescica iperattiva associata a incontinenza urinaria è nota come “vescica iperattiva bagnata”; se non lo è si definisce “vescica iperattiva asciutta

La vescica iperattiva Si tratta di una “sindrome”, termine che sta a significare che l’insieme dei sintomi descritti può essere determinato da cause differenti. Per maggior chiarezza terminologica, infatti, il termine empirico “vescica iperattiva” dovrebbe essere impiegato solo in assenza di una comprovata infezione urinaria o di altre patologie organiche note (tra cui, non di rado, le neoplasie vescicali). Benché poco conosciuta come entità clinica ben definita, la sindrome da vescica iperattiva è al contrario una condizione medica molto diffusa in tutto il mondo, con un importante impatto negativo sulla qualità di vita dei soggetti affetti. La vescica iperattiva è causata da un funzionamento scorretto del muscolo detrusore. Le cause di questo disturbo possono essere le più diverse, molte delle quali ancora ignote, ma tutte farebbero capo all'”interruzione” della via nervosa lungo la quale, a partire dalla corteccia cerebrale, viaggiano gli impulsi che impediscono al muscolo di contrarsi autonomamente durante o al termine del riempimento vescicale. Nella vescica iperattiva avviene la perdita di questo controllo: il presentarsi dello stimolo determina immediatamente la minzione a seguito della contrazione del detrusore. Può trattarsi di una conseguenza diretta di lesioni del midollo spinale e di malattie neurologiche come la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson, estese vasculopatie cerebrali (ed è limitatamente a queste situazioni che è corretto utilizzare il termine di “vescica neurologica”). Anche patologie organiche quali infezioni croniche delle vie urinarie, presenza di calcoli o di neoplasie della vescica possono determinare la stessa sintomatologia (nel maschio molto spesso è conseguenza dell’iperplasia prostatica). Tuttavia, nella maggioranza dei casi il disturbo non risulta direttamente ricollegabile ad altre patologie, per cui in numerosi pazienti la “permalosità” del detrusore è determinata da fattori ancora sconosciuti. Per tale motivo sarebbe meglio utilizzare il termine empirico di “vescica iperattiva” in assenza di comprovate infezioni urinarie, di altre patologie organiche o di chiara origine neurologica, riservando a questi ultimi quadri patologici il nome proprio che loro compete (cistite, neoplasia vescicale, vescica neurologica etc…). Sono molti i fattori di rischio che nel tempo sono stati associati alla vescica iperattiva, pur non spiegandone con chiaro nesso fisiopatologico di causa-effetto l’insorgenza della sintomatologia, come nel caso delle patologie organiche sovracitate. Tra questi: l’età, la post-menopausa, l’obesità, la presenza di altri sintomi urinari, le alterazioni funzionali e/o della sfera cognitiva, i rischi occupazionali, l’anamnesi positiva per precedente chirurgia uro-ginecologica, il fumo di sigaretta, l’assunzione di alcuni farmaci, un ritardato controllo della minzione nell’infanzia. E’ importante sottolineare come i sintomi e i segni di vescica iperattiva non consentano di formulare una diagnosi definitiva di iperattività detrusoriale, condizione questa determinata solo da una valutazione urodinamica. Con l’avanzare degli anni, nella donna la capacità e la compliance vescicali tendono a diminuire e nell’uomo si riduce il flusso massimo e aumenta il residuo vescicale post-minzionale. Nell’anziano, inoltre, tendono ad associarsi a tale sindrome condizioni quali la riduzione dell’orientamento spazio-temporale, l’alterata mobilità e i disturbi dell’alvo (soprattutto la stipsi), con conseguenti possibili comorbilità strettamente correlate (cadute e conseguenti fratture, infezioni urinarie ricorrenti secondarie, infezioni cutanee, insonnia e depressione). Una volta effettuata la diagnosi ed escluse patologie organiche rilevanti, il primo trattamento della sindrome da vescica iperattiva deve essere realizzato con interventi comportamentali sullo stile di vita, che comprendono la perdita di peso, la sospensione del fumo, la regolarizzazione della dieta e dell’apporto idrico e la riduzione delle sostanze irritanti per l’urotelio come caffeina e teina. Le opzioni terapeutiche di primo livello sono rappresentate dagli esercizi di riabilitazione del pavimento pelvico, dal training vescicale e dall’uso di prodotti farmacologici. La riabilitazione perineale aiuta a inibire le contrazioni involontarie della vescica, sviluppando contrazioni antagoniste da parte dei muscoli del pavimento pelvico. La tecnica aiuta anche a imparare a sopprimere, o a ignorare, il desiderio di urinare, aumentando gradualmente gli intervalli di tempo tra le minzioni. In presenza di una sospetta diagnosi di sindrome da vescica iperattiva con o senza incontinenza da urgenza, in assenza di residuo vescicale post-minzionale significativo (uguale o superiore ai 100 cc) e di controindicazioni come il glaucoma ad angolo chiuso o la stipsi grave, è lecito iniziare da subito una terapia farmacologica antimuscarinica.Casi particolarmente gravi, resistenti alle terapie di prima linea, possono essere avviati a forme di terapia più invasive, come la neuro-modulazione sacrale e l’applicazione di farmaci endovescicali. Al momento l’impiego di queste terapie è, e deve, essere limitato ai centri di alta specializzazione.

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